Così il ddl Lavoro toglie diritti ai lavoratori e favorisce le imprese

28.09.2024

Oggi su "Repubblica" Paolo Berizzi racconta la storia di una donna di Pisa malata di tumore, assentatasi dal lavoro di cassiera in un supermercato 4 giorni oltre i limiti previsti dal contratto (184 invece di 180) per sottoporsi alla chemioterapia e licenziata dal suo datore di lavoro, che l'aveva rassicurata sulla possibilità di curarsi in tranquillità senza perdere il posto. La signora ha fatto causa all'azienda e dopo due anni ha vinto: oltre alla reintegra, per lei i giudici hanno disposto anche il pagamento di circa 40mila euro di stipendi arretrati più le spese legali. Malgrado tutto, una storia a lieto fine.

Se invece fosse già stato in vigore il cd. Collegato lavoro, attualmente in discussione alla Camera, al solerte datore di lavoro sarebbe bastato aspettare altri 11 giorni per licenziare la stessa lavoratrice senza conseguenze.

Il provvedimento, infatti, prevede che dopo 15 giorni di assenza ingiustificata (inizialmente erano 5, ndr) il lavoratore si intende automaticamente dimesso. Attenzione: non licenziato, ma dimesso. Ciò, molto semplicemente, con l'intento di non far pagare alle imprese il ticket previsto in caso di licenziamento. Un altro tassello del micidiale slogan "non disturbare chi vuole fare". Nell'Italia di Meloni&Co. succede anche questo.

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