Meno ore di lavoro e stesso stipendio, l'Italia non resti indietro

La pandemia di Covid-19 ha provocato una forte accelerazione di alcuni cambiamenti in corso nel mercato del lavoro.
Secondo uno studio pubblicato nel
2017 da Eurofound e Organizzazione internazionale del lavoro, ad esempio, il
nostro Paese occupava l'ultimo posto nel Continente per utilizzo dello smart
working; da quanto risulta da un report dell'Osservatorio del
Politecnico di Milano, invece, durante il lockdown tale modalità di
esecuzione del lavoro ha coinvolto il 97% delle grandi imprese, il 94% delle
pubbliche amministrazioni e il 58% delle Pmi, per un totale di 6,58 milioni di
lavoratori. Nel post-pandemia, ha scritto il Centro Studi di Confindustria in
una nota del 22 dicembre 2022, si stima che la diffusione del lavoro agile "rimarrà
doppia rispetto al pre-pandemia (al 20,3%), sommando le imprese che nella prima
metà del 2022 avevano in programma di introdurlo entro 2 anni (10,4%) a quelle
che lo avevano già introdotto (9,9%)".
Questi dati non solo indicano la
necessità di una revisione e di un aggiornamento della normativa sullo smart
working, ma, più in generale, inducono a domandarci quale sia oggi il
confine invalicabile fra il lavoro e la vita privata.
Il fenomeno globale noto come great
resignation (grandi dimissioni) ha rianimato il dibattito sul cosiddetto work-life
balance, diventato l'elemento più ricercato dai lavoratori italiani -
soprattutto donne - nella scelta di un'azienda. Lo confermano i numeri dell'indagine
Randstad Employer Brand Research 2022,
condotta da Randstad: il 65% dei 6.590 lavoratori intervistati lo ha messo in
cima all'elenco delle priorità.
Lavorare di più, spesso, non è
sinonimo di maggiore produttività.
A tal proposito, in un working
paper reso pubblico a gennaio di quest'anno, l'Inapp ha ricordato come "secondo
le stime dell'Ocse, in epoca pre-pandemia, l'orario medio di lavoro in Italia risultava
tra i più alti dell'Eurozona, dopo la Grecia e l'Estonia, Paesi dove si lavorano
in media più ore alla settimana, anche se questo non sembra accompagnarsi a una
crescita dei livelli della produttività, né dei salari". Precedentemente allo
scoppio della pandemia, infatti, nel nostro Paese gli occupati lavoravano in
media 1.719 ore l'anno, 358,6 ore in più di quelli tedeschi (1.360,4) e 196,5
in più dei francesi (1.522,5). Malgrado ciò, la produttività e i salari non hanno
visto un andamento verso l'alto. Anzi.
Quanto alla prima, come
constatato dall'Istat in un report del 13 dicembre 2021, da noi "nell'intero
periodo 1995-2020 la produttività del lavoro ha registrato una crescita media
annua dello 0,4%" contro una media Ue-27 del +1,5%; in Francia e Germania, ha
scritto ancora l'Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche, "la
produttività oraria è cresciuta negli ultimi due decenni di pari passo con una
riduzione dell'orario medio di lavoro per occupato". Altresì, rispetto agli
stipendi medi annuali l'Italia è stato l'unico Paese dell'area Ocse in cui, fra
il 1990 e il 2020, gli stessi sono diminuiti (-2,9%) mentre nei due suddetti
casi hanno segnato - rispettivamente - un +33,7% e un +31,1%.
Secondo quanto riportato da World
Population Review, 18 Paesi nel mondo stanno già testando la "settimana corta":
tra questi figurano Germania, Spagna, Regno Unito, Belgio, Nuova Zelanda e
Giappone. Proprio nello Stato asiatico, nell'estate del 2019 Microsoft Japan ha
sperimentato la riduzione - da cinque a quattro - dei giorni di lavoro
settimanali senza tagli di stipendio per i propri dipendenti. Risultato: la
produttività è aumentata del 40%.
Negli ultimi anni, i governi di
Scozia (2019) e Spagna (2022) hanno creato dei fondi pubblici per le aziende
che intendono partecipare a progetti di prova; in Germania sono oltre 150 le
imprese già coinvolte in questi progetti. In Gran Bretagna, altresì, un
esperimento condotto da giugno a dicembre 2022 su 2.900 lavoratori di 61
aziende ha dato ottimi effetti: i ricavi delle stesse - che hanno ridotto da 40
a 32 le ore di lavoro settimanali con il 100% della paga - hanno fatto registrare
una crescita media dell'1,4%, mentre i partecipanti hanno segnato un
miglioramento della salute mentale e fisica al punto che il 92% delle società
coinvolte vuole rendere organica la riduzione.
In Italia, invece, sono ancora poche le realtà che hanno deciso di
imboccare questa strada.
Tuttavia, è utile ricordare che nel
2020, con il cosiddetto "decreto Rilancio", il governo Conte II ha creato una
prima misura tesa a ricalcare tale impostazione. Stiamo palando del Fondo nuove
competenze, strumento di politica attiva del lavoro che permette alle imprese
di aggiornare e sviluppare le skills dei lavoratori, destinando - grazie
ai contributi dello Stato e del Fondo sociale europeo - parte dell'orario di
lavoro alla formazione. Un modello che, quindi, garantisce alle società una
riduzione del costo del lavoro e ai lavoratori di non subire tagli alla propria
retribuzione. Questo strumento è stato estremamente apprezzato dal mondo industriale:
solo nel primo anno di operatività, il Fondo ha coinvolto 14.500 aziende di
piccole, medie e grandi dimensioni, per un totale di 720mila lavoratori che
hanno svolto 95 milioni di ore di formazione.
Un articolo pubblicato il 14
novembre 2022 sul sito dell'Eures ha messo in evidenza che "un giorno di pausa
supplementare offre ai lavoratori dipendenti la possibilità di riposarsi e
recuperare completamente le forze, il che implica meno giorni di assenza per
malattia", e aiuta l'ambiente per via dei minori consumi di carburante da parte
dei suddetti lavoratori e di una diminuzione dei costi dell'energia elettrica per
le imprese.
Di fronte a queste cifre, è
improcrastinabile aprire in Italia un dibattito serio e articolato sulla
riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario.
Twitter: @GiorgioVelardi